No, non è a impatto 1, perché non è un prodotto a chilometro zero. Sì, l’ho voluto provare perché pare abbia proprietà molto interessanti.
È conosciuto anche come “oro bianco”, ed è infatti molto prezioso: rispetto al sale comune oltre al cloruro di sodio è ricchissimo di minerali e ferro (che gli conferisce il caratteristico colore), e non viene sottoposto ad alcun trattamento sbiancante.
Il nostro intestino lo assorbe meno e meglio e il suo gusto tende a valorizzare i sapori dei cibi senza coprirli.
Sembra che aiuti il corretto funzionamento dell’organismo, migliorando l’equilibrio del pH a livello delle cellule, la capacità di assorbimento degli elementi nutritivi, la respirazione e la circolazione, il funzionamento di muscoli, ossa e reni.
Io lo sto usando in
cucina e John l’ha impiegato anche per fare i suffumigi durante un forte raffreddore. Con una pentola d’acqua calda, una manciata di sale e una goccia di olio essenziale di timo, non è guarito ma almeno la notte ha respirato.
Sempre in cucina si può mischiare a semi di sesamo tritati per farne gomasio, un condimento utilizzato spesso al posto del sale.
Per la cura del corpo è ottimo sotto la doccia come scrub se mischiato a olio d’oliva, si può usare per risciacqui in caso di problemi alle gengive, lavaggi nasali e pediluvi, insomma ha molti usi ed è un prodotto biologico a tutti gli effetti.
Penso che, al di là della scarsa sostenibilità di un prodotto che viene da così lontano, scegliere un sale buono e biologico, e comunque usarne sempre il meno possibile, sia una spesuccia che vale la pena fare.